Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/190

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180 GUERRE GOTTICHE

telò eziandio l’esercito colla mente di valersene poscia ad occupare l’intiera città. Ora volendo il Nume che i Romani andassero liberi da tanto sinistro fe’ sì che l’uno degli imbecherati da Vitige col danaro ad appianargli la via al tradimento corresse di per sè ad appalesare la trama a Belisario, senza perdonarla neppure al compagno, il quale messo alla tortura disvelò quanto da lui attendevasi, ed insieme trasse fuori il narcotico avuto dal re. In pena del tradimento il duce fattogli mozzare il naso e le orecchie e postolo su d’un asino mandollo al campo nemico; dove giunto i Gotti ben compresero che Iddio opponevasi ai loro disegni, e che vano riuscirebbe mai sempre ogni conato per impadronirsi di Roma.

CAPO X.

Giovanni, messo a ferro e fuoco il Piceno, occupa Arimino. — Riceve un messaggiere da Matasunta consorte di Vitige. Sconfitta de’ Gotti nell’abbandonare l’assedio di Roma.

I. Tra questo mezzo Belisario comandò scrivendo a Giovanni di eseguire gli ordini avuti; e questi pigliati seco duemila cavalieri, scorrazzando per lo largo e lo lungo il Piceno cominciò a predare dovunque avvenivasi, ed a condurre in ischiavitù la prole e le mogli de’ nemici. Fattoglisi di più innanzi Uliteo zio di Vitige1 alla testa d’un gottico esercito, lo vince ed uccide, sterminandone pressochè tutta la soldatesca; dopo

  1. Da parte di madre. Egio.