Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/192

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182 GUERRE GOTTICHE

non la cedeva ad alcun barbaro, vuoi pur soldato, nella continua tolleranza della fatica e di una frugalissima mensa: tale era Giovanni. Matasunta, volgendo a lei il discorso, moglie di Vitige, grandemente avversa al marito e addivenutagli mal suo grado consorte, non sì tosto riseppe l’arrivo di Giovanni in Arimino che, tripudiante per la contentezza, inviogli occultamente un messo incaricato di combinare le nozze tra loro, tantosto libererebbesi, per tradigione, del vivente marito.

II. Duravano tuttavia queste occulte mene della regina col duce, quando i Gotti udito il caso di Arimino, sofferendo gravissima diffalta di vittuaglia e prossimi alla fine dell’armistizio trimestrale, partitonsi avvegnachè di nulla sapevoli intorno agli spediti oratori. L’anno volgea di già al vernile equinozio, consumatosi tutto, unitamente ad altri nove giorni1, nell’assedio, allorchè i barbari abbruciate per intiero le proprie trincee batterono coi primi albori la ritirata. I Romani vedutane la fuga tenevansi tra due sul partito da prendere in quell’emergente, avendo qua e là spedito il maggior novero de’ cavalieri, come testè riferiva: nè credevansi di forze eguali alle copiosissime truppe nemiche. Belisario non di meno fe’ armare sue genti, pedoni e cavalieri, ed allorchè oltre la metà de’ Gotti ebbe valicato il ponte, uscì della porta Pinciana coll’esercito, dove si venne alle prese colla medesima ostinazione, che segnalato avea tutte le precedenti battaglie. E per verità al cominciar della pugna i barbari difendendosi

  1. Il Cousin legge un anno, nove mesi ed alcuni giorni.