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i cavalleggeri di monferrato 157

pariva evidentemente sollevato da un gran peso. Anzi, per accaparrarsi vieppiù la nostra benevolenza, ci mostrava i guanti insanguinati, affermando di aver poco prima, lassù al secondo piano, medicato, con amore, un ufficiale dei nostri bersaglieri ferito. — Ciò che non avemmo il tempo di verificare, ma che vero doveva essere, perchè quel buon Don Pacifico non aveva l’aria di dire bugie.

Contento però non era un giovinetto ufficiale, bello, distinto, biondo come un arcangelo, il quale a testa bassa, le braccia conserte, era disceso l’ultimo. Obbligato anco lui a consegnare la sciabola, resistette a lungo, mandando dagli occhi azzurri fiamme di sdegno verso il suo capitano. Strappato poi con ira il cinturino, gittata l’arma in terra, si volse per nascondere il dolore.... e pianse. — Com’era bello quel pianto?

Allorchè ci mettemmo in cammino, per condurre via i prigionieri, egli a rapidi passi precedette la scorta, senza più aprire la bocca, senza più dare quasi segno di vita. Nessuno di noi turbò quel silenzio che faceva uno strano contrasto colla parlantina del capitano.

Il quale, grondante sudore, con una grande macchia umida e scura sulla tunica di tela russa, dietro nella schiena, camminando, soffiava come un mantice; faceva pietà. Ma, siccome palle grosse e piccine continuavano intanto a grandinare dall’alto, quel buon uomo, apparentemente sollecito della nostra pelle — ma, in fatti, assai più della sua — pratico com’era del terreno, andava mostrandoci la migliore via, più coperta e sicura; assumendosi per tal modo — vedi pensiero gentile! — le funzioni provvisorie di un nostro ufficiale dello stato maggiore!

A un dato punto, l’uomo non ne potè più.... ardeva dalla sete. Mi chiese, in carità, un gocciolo d’acqua. Nella boraccia non me ne restava che poca, mescolata all’aceto.... Gliela offersi.... e nel bere quella roba riscaldata dal sole, faceva spracche colla lingua sul palato, come se bevesse tanta ambrosia... e m’asciugò la boraccia.

Si tirò avanti. Ma nell’incedere dovemmo passare in mezzo a due file di bersaglieri, giunti allora...

Momento brusco! Le penne di cappone dei cacciatori austriaci danno loro maledettamente sui nervi. Sono penne rivali — per quanto delle loro meno belle. — Passano a portata della loro mano.... Ahi! la tentazione è grande!... Si danno a strapparle!...

A farli smettere, non bastano le nostre preghiere, occorre l’intervento dei loro ufficiali che impongono a quei giovani ardenti il rispetto dovuto ai prigionieri.

Tanta cortesia da parte di un nemico, semplice soldato quale io m’ero, commosse il cuore di quel buon uomo, a segno, che, giunti al paese dove si doveva consegnare ad altre mani i prigionieri, egli con moto