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eco d’una notte mitica 129

plesso, formato di novità e di ricordo. Rileggo “la notte degli imbrogli e dei sotterfugi„ e quel piacere complesso, quell’incognito indistinto, si ripresenta al mio spirito. Io vedo la casetta di Lucia “in fondo al paese„ con “la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile„; vedo anche il casolare disabitato dove “vanno le streghe„ per solito, e ora sono postati i bravi col Griso. “Egli, col grosso della truppa, rimane nell’agguato ad aspettare„. Si fa sera, si fa “quel brulichìo, quel ronzìo (non ci rincresca rileggere le parole del Manzoni: dacchè è libro di testo nelle scuole, si legge più poco), quel ronzìo, che si sente in un villaggio, sulla sera, e che dopo pochi momenti, dà luogo alla quiete solenne della notte. Le donne venivano dal campo, portandosi in collo i bambini, e tenendo per la mano i ragazzi più grandini, ai quali facevan dire le divozioni della sera; venivan gli uomini con le vanghe e con le zappe sulle spalle. All’aprirsi degli usci si vedean luccicare qua e là i fuochi accesi per le povere cene: si sentiva nelle strade barattare i saluti e qualche parola sulla scarsità della raccolta e sulla miseria dell’annata; e, più delle parole, si sentivano i tocchi misurati e sonori della campana, che annunziava il finir del giorno„. I promessi, con Agnese e i testimoni, vanno a sorprendere il curato: “Zitti zitti, nelle tenebre, a passo misurato, usciron dalla casetta e preser la strada fuori del paese... Per viottole, tra gli orti e i campi, arrivaron vicino a quella casa, e lì si divisero„. Nelle tenebre? Dopo la sorpresa che non riesce, il curato si affaccia a una finestra. “Era il più bel chiaro di luna; l’ombra... lunga e acuta del campanile, si stendeva bruna e spiccata