Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/149

Da Wikisource.

eco d’una notte mitica 137

 dalle somme vette
Roma antica ruina;

che deriva dalle parole di Ettore, pronunziate poco dopo quel tranquillo veleggiare al lume silenzioso della luna: ruit alto a culmine Troia.

Ma i passini di Menico? Eccoli. Il doloroso gruppo della famiglia fuggente era già alla porta della città e si poteva considerar salvo “quando a un tratto all’orecchio parve che venisse un trito scalpitìo„. Però nella mente del Manzoni (ripeto, forse ne era conscio, forse no) questo minuto calpestìo si contaminò, si confuse coi passi di Iulo, di cui poco prima Enea racconta: “alla destra si aggavignò il piccolo Iulo e segue il babbo coi suoi passettini non misurati ai miei„. Il Manzoni sentì il suono di tali piccole péste di bimbo sul suolo della patria morta, nell’oscurità notturna. E la casa in fondo al paese? col fico sul cortile? Eccola: “quantunque la casa d’Anchise, appartata, sia in fondo, coperta d’alberi„. Ben altro rumore è quello che sente al suo svegliarsi Enea: tuttavia l’effetto dei ton, ton, ton, ton, è, proporzionalmente, e con sapor di comico, lo stesso che quello del grande incendio o della grande piena. Panto che fuor di sé corre alla casa di Enea, ricorda quel tale “tutto trafelato, che stentava a formar le parole„; e le parole di Panto, pur nella solennità epica degli esametri, quando accennano al cavallo che versa armati, richiamano alla mente queste altre, sebbene contadine: “che fate qui, figliuoli? non è qui il diavolo; è giù in fondo alla strada, alla casa d’Agnese Mondella: gente armata; son dentro; par che vogliano ammazzare un pellegrino; chi sa che diavolo c’è„. E il pellegrino, cioè Griso, or mi pare