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la scuola classica 155

vendere i loro libri in Italia!), ma di tener pronto il terreno ai germi, che il genio dell’umanità semina, passando come una meteora, a capriccio; ai germi che sbullettando e sfronzando diventano le grandi opere d’arte e le grandi scoperte scientifiche, mirabili sempre non tanto a vedere quali elle sono, quanto a pensare come e donde elle nacquero.

Bene: questa coltura è dunque ben necessaria, se si vuole che l’Italia ricominci a dare anche lei le vegetazioni singolari di cui sono così feraci le altre nazioni e le altre razze. Semplifichiamola dunque pure, se semplificare vale migliorare. Si dovrà per questo togliere il greco? Strano, cominciare da quella lingua che fornisce il linguaggio a tutte le scienze, da quella letteratura che procaccia ispirazione e dà norma e regola a tutte le arti, da quello spirito che anima ancora del suo primo impulso, già così lungi, il pensiero umano! O non sarebbe meglio provare, niente più che provare, con altro? Prima di tutto si potrebbe diminuire l’orario delle lezioni, cessando d’insegnare quello che si suole imparare da sè e non si può imparare se non da sè. Ci sono complessi di cognizioni cui l’industria degl’ingegni moderni presenta in giornali e libri con precisione, diremo, uguale, con chiarezza uguale, se si vuole, e con ampiezza e allettamento molto maggiori di quelli con cui possa presentarli un povero professore che ha due polmoni soli e insegna quando vuole l’orario e non quando lo scolare è più disposto ad attendere e intendere. Si pretenda che i giovani li abbiano, tali complessi di cognizioni, si dia loro anche qualche utile avviso in proposito, si forniscano loro biblioteche sufficienti a questo fine, e si veda ogni anno,