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un poeta di lingua morta 167

intronati: alla poesia bisogna avvicinarsi, per sentirla. Ed ella parla ora a questo ora a quello, qua asciuga una lagrima, là aggiunge un sorriso, con delicata modestia, come una silenziosa benefattrice. Ora gli uomini che attrae la mia lira antica col suo giocondo strepito, e consola e conforta, vengono da tutte le parti del mondo, e verranno finchè si studi la lingua dei Quiriti. Oh! il grande avvenire di quest’arte universale! —



IV.


Questo io penso che mi avrebbe risposto cercando nell’equanimità della sua placida vecchiaia le ragioni della sua poesia. Ma la sua voce io non intesi e non udrò più. Ho riletto, per rifarmene, la sua anima scritta. Ho riletto le elegie Pompeiane, vibranti di passione, gli epigrammi greci e latini dal sorriso amaro, le iscrizioni d’una nobile romanità, le prose, a dir vero, troppo fiorite, l’Asino Pontaniano troppo, a dir vero, acre nella sua comicità pedantesca, lo Xiphia... Rimane questa la migliore opera sua, e gli dispiaceva sentirselo dire e ripetere; ma è così. Il primo fiore che fece la pianta, ricca di tutti i succhi di primavera, fu, come spesso avviene, il più grande e il più bello. Poi era il suo mare che l’ispirava, erano le osservazioni fatte sin da fanciullo che nutrivano la sua ispirazione.

Egli è, in questo suo primo lavoro, verista, per così dire; ma la verità da lui veduta e resa ottimamente, egli proietta luminosamente nel passato mitico. Caritone è un giovane pescatore de’ nostri tempi e del nostro mare che conosce tutti i pesci col loro