Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/193

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una sagra 181

celletta della grande arnia esso, come ape, ha da deporre il suo granellino di polline. Anzi no; l’ape sa che a questa o quella celletta il suo granellino è buono. Non è simile all’ape lo scienziato, e nemmeno allo scalpellino, che picchia, sì, in disparte dagli altri sur una pietra che deve essere parte del comune edifizio, ma ha da altri la misura e la forma. Lo scienziato è come un lavoratore alla grande torre, che Nembrod lasciò a mezzo, e che ora l’umanità continua a edificare verso, non contro, il cielo: egli non può intendersela, sapete, con gli altri lavoratori: perchè il suo lavoro sia utile, bisogna che, prima di cominciare, vada a veder da sè l’opera tutta di tanti secoli e di tante mani e ingegni. La torre di Babele?! direte voi. Sì; torre di Babele e di confusione, se ci contentiamo di parole e se ci affidiamo ai discorsi, invece di andare a riconoscere de visu il pensiero, il quale, non si vede se non dall’opera stessa, al punto in cui ora ella è.

Ora si rischia, coi nostri concorsi, di far perdere ai giovani la conoscenza di tanta difficoltà e importanza d’uffizio, e la coscienza della loro inferiorità al sublime compito. Si daranno essi a produrre, prima d’aver cominciato o, almeno, prima d’aver finito di studiare. Non faranno più studi, ma saggi, non più libri, ma titoli, non più opere, ma contributi: soltanto saggi, titoli, contributi. O api operaie, senz’arnia! O scalpellini rumorosi, senza fabbrica! E, guai, se sia per venir tempo in cui sembri più idoneo a insegnare e propagare una scienza, chi vuol prevenirla e preoccuparla, che chi intende farsene prima servo e poi padrone! Guai, se noi lasceremo che i giovani s’innamorino prima della cattedra che