Pagina:Pensieri e discorsi.djvu/215

Da Wikisource.

l’eroe italico 203

offendersi. E da Roma tale giustizia doveva frenare il mondo, tale prudenza doveva illuminare il mondo. Per quanto il pensiero di Garibaldi andasse da Roma a Italia piuttosto che da Roma al mondo... E tuttavia, no: Mazzini, il suo maestro, esclamava: il mondo! — Roma deve essere la maestra delle genti, come fu la conquistatrice; deve di nuovo accogliere tutti i popoli in un immenso ideale di giustizia e di pace. — Bene; ma insomma il guerriero recava da Roma, le cui mura fumavano ancora, concetto più semplice e parola più breve: o Roma o morte! E intanto in questo s’accordavano l’esule e il fuggiasco, i due gloriosi banditi, i condannati da Baldo d’Aguglione e da Gorzkowski, s’accordavano nell’avere ambedue, in cima al loro pensiero, Roma.

Ma un’altra idea informa tutto il poema dell’uno e tutta l’azione dell’altro. Che cercava in vero Dante per i suoi tre regni? Lo dice Virgilio a Catone, che cosa cercava il viatore dell’oltremondo: “Libertà va cercando, ch’è sì cara, Come sa chi per lei vita rifiuta„.

E l’altro, col suo breve modo d’uomo di fatti e non di parole, l’altro avrebbe detto con le parole dell’inno: O morte o libertà! Libertà è la suprema aspirazione d’ambedue; e Dante la trovò lasciando, con l’incoercibile pensiero, la vita feroce e schiava del mondo, e rifugiandosi di là della morte; e Garibaldi, per tutta la vita la cercò, combattendo e soffrendo per lei, e tornando appena potesse, alla sua solitudine nella piccola isola rupestre. E tutti e due lo riacquistavano quel prezioso dono che non è conosciuto se non da chi talor lo perde: l’uno a forza di pensiero, l’altro a forza d’azione.