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l’uomo giusto di barga 317

serbarsi all’unica e grande e necessaria. E quando per sua, non vostra, volontà lasciò il Comune, voi e gli altri elettori del Collegio sognaste ch’egli vi potesse rappresentare alla Camera. Ma l’uomo modesto e puro, presentendo forse che il suo tempo era ormai contato, rispondeva: La Camera è per me la famiglia!

Presentiva... E sentì lo strale della morte. La morte doveva essere crudele, come mite era stata la vita; tuttavia egli capì che aveva qualche mese avanti sè; mesi di strazio e martirio, ma anche di lavoro. E assentì a che lo strazio e il martirio crescesse, pur che il lavoro potesse essere più lungo. Egli preparò le sue cose come un viaggiatore, con sollecitudine tranquilla (tranquilla tra le orribili lacerazioni del male!), per essere pronto il giorno e l’ora della partenza... Egli partiva per sempre, abbandonando la sua donna e i suoi figli!... Preparò tutto. Pensò ai suoi clienti. Le quisquilie, gl’interessucci di questo o quello di noi, gli parvero assai importanti anche in quei giorni in cui sapeva di dover morire. Il suo Peppino, il nostro bravo avvocato Giuseppe Salvi, era da lui minutamente informato, istruito, preparato a esserne il degno successore. Io che vi parlo, occupai molte delle sue ultime ore. La casa in cui sono vostro cittadino, o Barghigiani, mi era cara, perchè acquistata col mio lavoro; mi divenne sacra, perchè assicurata dal pensieso d’un morente!

E fece i suoi saluti, i suoi commiati. Ma così, senza farsi scorgere, non volendo addolorar troppo, volendo, il dolore, tenerselo tutto per sè. Mostrò un giorno il desiderio di vedere le bimbette della sua figlia. Con quanta suprema tenerezza le guardasse, senza forse abbracciarle e baciarle, chi può ridire?