Pagina:Piccolo Mondo Antico (Fogazzaro).djvu/120

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116 capitolo v

grado le sue smancerie di umiltà, era troppo orgoglioso per far mai la spia, e sia per questo, sia per qualche buona fibra del suo cuore, mai non la fece. Vi fu dunque nelle sue parole un grammo di sincerità, un grammo d’oro che bastò a dar loro il suono del buon metallo. Il Gilardoni ne fu tocco, offerse al suo visitatore un bicchier di birra e si affrettò di scendere in cerca del Pinella onde aver un pretesto di lasciar il volume sul tavolino.

Appena partito il professore, Pasotti ghermì il libro, gli diede una curiosa occhiata, lo rimise a posto e si piantò in capo alla scala con la tabacchiera aperta in mano, frugando nel tabacco e sorridendo, tra l’ammirazione e la beatitudine, ai monti, al lago, al cielo. Il libro era un Giusti, stampato colla falsa data di Bruxelles, anzi di Brusselle e con il titolo «Poesie italiane tratte da una stampa a penna.» In un angolo del frontispizio si leggeva scritto per isghembo: «Mariano Fornic.» Non occorreva l’acume di Pasotti per indovinar subito in quel nome eteroclito l’anagramma di Franco Maironi.

«Che bellezza! Che paradiso!» diss’egli a mezza voce mentre il professore saliva la scala seguito dal Pinella con la birra.

Confessò poi, tra un sorso e l’altro, che la sua visita era un pochino interessata. Si disse innamorato della muraglia fiorita che sosteneva l’orto Gilardoni a fronte del lago, e desideroso di imi-