Pagina:Piccolo Mondo Antico (Fogazzaro).djvu/177

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la sonata del chiaro di luna, ecc. 173

non è vero, credere in Dio e dubitare della nostra vita futura?»

Ell’aveva posato, così dicendo, l’aggrovigliata matassa della pesca e guardava il Gilardoni in viso con un interesse vivo, con un desiderio manifesto che rispondesse di sì; e, perchè il Gilardoni taceva, soggiunse:

«Mi pare che qualcuno potrebbe dire: che obbligo ha Iddio di regalarci l’immortalità? L’immortalità dell’anima è una invenzione dell’egoismo umano che in fin dei conti vuol far servire Iddio al comodo proprio. Noi vogliamo un premio per il bene che facciamo agli altri e una pena per il male che gli altri fanno a noi. Rassegniamoci invece a morire anche noi del tutto come ogni essere vivente e facciamo sin che siamo vivi la giustizia per noi e per gli altri, senza speranza di premi futuri, solo perchè Iddio vuole da noi questo come vuole che ogni stella faccia lume e che ogni pianta faccia ombra. Cosa Le pare, a Lei?»

«Cosa vuol che Le dica?» rispose il Gilardoni. «A me mi pare una gran bellezza! Non posso dire: una gran verità; non lo so, non ci ho mai pensato; ma una gran bellezza! Io dico che il Cristianesimo non ha potuto avere nè immaginare dei Canti sublimi come questo qualcuno! È una gran bellezza, è una gran bellezza!»

«Perchè poi» riprese Luisa dopo un breve silenzio «si potrebbe forse anche sostenere che questa vita futura non sarebbe proprio felice. Vi è felicità