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298 parte ii - capitolo viii

gli aspra. D’essere stato aspro egli stesso non gli venne in mente. Luisa, dal canto suo, si dolse subito d’avergli risposto così, ma non poteva trattenerlo, gittarglisi al collo e finirla con due baci; troppo le pesava sul cuore l’altra cosa! Franco finì di accomodar le fasciature a’ suoi aranci e rientrò a pigliarsi il mantello per andar in chiesa ad Albogasio. Luisa che stava in cucina sbucciando delle castagne, lo udì passare pel corridoio, stette un momento in forse, lottando con sè stessa, poi balzò fuori, lo raggiunse mentre stava per scender le scale.

«Franco!» diss’ella. Franco non rispose, parve respingerla. Ella lo afferrò allora per un braccio, lo trasse nella vicina camera dell’alcova. «Cosa vuoi?» diss’egli, scosso ma desideroso di tenersi il suo rancore. Luisa non gli rispose, gli cinse con le braccia il collo riluttante, gli piegò il viso sul petto e disse sotto voce:

«Non dobbiamo esser in collera, sai, in questi giorni».

Egli, che aveva aspettato parole di scusa, si staccò dal collo le braccia di sua moglie e rispose asciutto:

«Io non sono in collera. Mi racconterai poi» soggiunse «cosa ti ha confidato il signor professore Gilardoni di tanto segreto da doverti raccomandare il silenzio.»

Luisa lo guardò attonita, addolorata. «Tu hai sospettato di me» diss’ella «e hai interrogata la bambina? Hai fatto questo?»