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396 parte ii - capitolo x

«Sciora Lüisa! Sciora Luisa!» si gridò da vicino con accento di strazio; e venne con le grida un rumor di passi precipitosi. Ma Luisa non parve udir niente. «Sì, adesso!» rispose a Pasotti con alterezza inesprimibile. «Io avverto, per mia bontà, questa signora....»

«Sciora Lüisa!»

Ella dovette pure interrompersi e voltarsi. Due, tre, quattro donne le furono addosso, stravolte, scarmigliate, singhiozzanti: «che la vegna a cà sübet! Che La vegna a cà sübet!». Le facce, i pianti, le voci la strapparon d’un colpo fuori della sua passione, del suo proposito.

Si avventò fra quelle donne esclamando: «cosa c’è!» Ed esse sapevano solo ripetere con gli occhi schizzanti dall’orbita: «Che La vegna a cà! Che la vegna a cà!»

«Ma cosa c’è, stupide?»

«La soa tosa, la soa tosa?»

Ella gridò come pazza: «la Maria? La Maria? Cosa? Cosa?» udì fra i singhiozzi nominar il lago, cacciò uno strido e, apertasi la via come una fiera, si slanciò su per la scalinata. Quelle donne non poterono tenerle dietro ma sul sagrato ce n'erano altre, malgrado la pioggia, che strillavano e piangevano.

Luisa si sentì mancare, precipitò a terra sull’ultimo scalino.

Le donne accorsero a lei, dieci mani la presero, la sollevarono. Urlò: «Dio, è morta?» Qualcuno