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450 parte ii - capitolo xiii

un biglietto. Poi si era allontanato rapidamente. Il biglietto diceva: «Perchè il Carlino Pedraj non valo mica subito a Oria a trovare il Signor Maironi e il signor avocatto di Varenna per fare una bella spasseggiata con gli amici cari da quel co di quel palo?». Dopo l’arresto del medico di Pellio, amico suo, Pedraglio era in sospetto di qualche tiro della Polizia, e quel biglietto non era il primo avviso salutare e sgrammaticato che pervenisse a un patriota. Il biglietto parlava chiaro; bisognava passar subito il palo del confine. Il Pedraglio non sapeva niente della disgrazia di Franco nè del suo ritorno nè che l’avvocato fosse a Oria ma non andò a cercar altro, corse a Loveno, si provvide di denaro e si pose in cammino. Non si fidò di venire a Porlezza, prese il sentiero che presso Tavordo sale per un vallone deserto al Passo Stretto. Agile come un camoscio, arrivò in quattr’ore a Oria, trovò che Franco e l’avvocato si preparavano a partire per un altro avvertimento misterioso pervenuto loro dal curato di Castello, ch’era stato a Porlezza e ne aveva ricevuto l’incarico in confessione. Ismaele doveva guidarli oltre il confine. I passi del Boglia erano guardatissimi. Ismaele si proponeva di passar fra il monte della Nave e Castello per calar poi nella valle, tagliar dritto all’Alpe di Castello sotto il Sasso Grande e di là scendere a Cadro, un’ora sopra Lugano.

Ma Ismaele doveva venire alle due e alle due e mezzo non s’era veduto ancora.