Pagina:Poemi (Byron).djvu/169

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il giaurro 165

» Il nero crin su la pallida fronte,
» Quasi v’abbia, nerissima una treccia
» De l’angui ch’erran sul suo capo orrendo
» La gòrgone, diffusa. Ancor ch’a noi
930» Simile il vegga, ei nostre leggi abborre,
» Ond’è che folte di profana chioma
» Lascia così le tempia, e non pietate,
» Quell’è, ma orgoglio sol, per cui tant’empie
» Di tesor’ queste mura, che nè salmo
935» Nè voto mai de la sua bocca udiro.
» Or mira, deh! ch’in più forte concento
» L’armonìa de le lodi alto si spande,
» Quella squallida guancia, e quello starsi,
» Siccome pietra immoto, ed il sospetto,
940» E il disperar di quel sembiante! Al tempio,
» Spirti del ciel ne lo togliete, pria
» Che lo sdegno di Dio, con più tremendo
» Segno, a noi s’appalesi! Oh, se mortale,
» Spoglia un giorno coverse angiol di colpa,
945» Genio infernal, certo quell’è ch’ei reca!
» Nò, pel’ perdon de le peccata mie,
» Di che tanta ho speranza, non terreno,
» Nè fù celeste quello sguardo, mai!...»
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