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PREFAZIONE ci

Offrire una soluzione obiettiva ed incontrovertibile, non è possibile: soprattutto, non è possibile precisare particolari. Ma attenendoci al buon senso e ad alcuni principii inoppugnabili di logica, non è impossibile avvicinarsi ad una verità d’indole generale, che è poi l’unica che importi in questi ordini di ricerche.

E prima di tutto, richiamandoci alle considerazioni già svolte intorno al carattere e agli uffici della poesia al tempo di Esiodo, dobbiamo sgombrare le nostre menti dal concetto che noi moderni ci facciamo del poeta.

Per noi, un poeta, degno di tanto nome, non scrive se non quello che gli detta l’anima: dunque non tratta se non argomenti di predilezione.

Ma quando invece la poesia era uno strumento necessario, allora il poeta, quello che possedeva il magisterio delle parole, poteva, senza abbassarsi, trattare argomenti anche non favoriti. Gli chiedevano di esporre fatti, nozioni, precetti di cui tutti avevan bisogno, esposti nella forma che meglio li imprimesse nella memoria, e della quale egli possedeva il segreto. C’era dunque una precisa richiesta, alla quale non era facile sottrarsi.

Ed Esiodo, la voce d’oro della Beozia, si trovò spesso in tale condizione. Nella penultima parte de Le Opere e i giorni, lo confessa esplicitamente:

t’insegnerò che modi tener con l’ondísono mare,
sebbene esperienza non ho di viaggi e di navi.


Ora appunto questo presupposto professionale ci irretisce quando vogliamo tentare su questo o quel brano attribuito ad Esiodo un giudizio d’arte. In linea strettamente tecnica, non esistono fra i versi de Le Opere e i giorni, e quelli della Teogonia, dello Scudo d’Ercole ed anche degli altri fram-