Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/147

Da Wikisource.
637-667 LE OPERE E I GIORNI 33

non per fuggir l’opulenza, né il bene, né i troppi quattrini,
bensí la povertà, tristo dono di Giove ai mortali.
Ed in un misero borgo, nei pressi abitò d’Elicona,
640in Ascra, trista il verno, penosa l’estate, e mai buona.

     Perse, ricòrdati bene di fare ogni cosa a suo tèmpo,
sempre, ma specie poi se pensi di metterti in mare.
Loda la nave piccina, ma carica invece la grossa:
quanto sarà piú grande il carico, tanto il guadagno
645sarà, qualora i venti trattengan le tristi procelle.

     Se dunque il folle cuore tu volgi al commercio, ed intendi
i debiti schivare, la poco gradevole fame,
t’insegnerò che modi tener con l’ondísono mare,
sebbene esperïenza non ho di viaggi e di navi.
650Ché mai non ho solcato su navi l’ampissimo Ponto,
tranne che verso l’Eubèa mossi, ad Aulide, dove, frenati
gli Achei dai fieri venti, le genti de l’Ellade sacra
raccolsero contro Ilio, città dalle femmine belle.
A Càlcide, per mare, giunsi io quella volta, alle gare
655pel saggio Anfidamànte: bandite con grande richiamo
le avevan dell’eroe magnanimo i figli; e nell’inno
vinsi, ed il premio n’ebbi d’un tripode duplice d’ansa.
Questo alle Muse in dono recai d’Elicona, là dove
me dell’arguto canto sui tramiti spinsero prima.
660Questo soltanto io so delle navi dai multipli chiodi;
ma, pur cosí, ti dirò dell’egíoco Giove la mente:
ché m’insegnaron le Muse cantare ogni genere d’inni.

     Quando cinquanta giorni trascorsero già dal solstizio,
ed al suo fine giunge l’afosa stagione d’estate,
665per navigare allora propizio è il momento: la nave
non vedrai franta, allora, né stermina il mare le genti, —
se pure il Dio che scuote la terra, Posídone, o Giove,