Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/19

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PREFAZIONE xix

male. A Giove l’aquila, ad Atena la civetta, ad Apollo lo sparviero. Ispettori e pregustatori, dice scherzosamente Aristofane, delle offerte fatte ai Numi: di fatto sono antiche divinità, che, sopraggiunte le nuove, rimangono al loro fianco, per un processo di sincretismo che oramai non ha piú bisogno d’essere dimostrato.

E via via, pei gradi della scala zoologica, si discende sino agli insetti. Sembra sicuro che le famose Arpie non siano altro che le cavallette. Quando i terribili insetti, nell’etèrea vibrazione incandescente d’un meriggio greco, che le ingigantiva, tutte auree sotto il folgorio dei raggi del sole, piombavano sopra un campo, a sterminio, esse dovevano realmente sembrare alle fervide fantasie dei Greci primitivi paurose e terribili schiere di dèmoni infesti1, contro i quali non esisteva nemico efficace, tranne un fiero vento che le trasportasse lontano. E in Apollonio Rodio vediamo che solo valgono a metterle in fuga Calai e Zeto, i due figli di Borea. E qualche espressione del poeta, forse ispirata a dati tradizionali, sembrerebbe comprovare questa origine del mito2.

E accanto al mondo animale bisogna ricordare il mondo vegetale. Gli alberi, in un primo luogo, il cui culto ebbe dif-

  1. Si dica se non sembra di sentire un ricorso di simile impressione nella seguente comunicazione che si è letta nei giornali del 12 settembre 1928: «Telegrafano da Johannesburg che, come gli altri anni, fra i fiumi Zambese e Orange, l’invasione delle cavallette ha assunto proporzioni impressionanti. Una colonna delle terribili bestie misura ben 180 chilometri di lunghezza. Non appena è stato avvistato il fittissimo nugolo, uno stuolo di dodici aeroplani si è levato dalla base di Johannesburg, per assalire gl’invasori. Un nutrito getto di bombe fumogene, preparate con potenti disinfettanti micidiali, ha fatto strage delle cavallette.
  2. Apoll. Rod., II, 187: ἀλλὰ διὰ νεφέων ἄφνω πέλας αἴσσουσαι — Ἅρπυιαι.