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256-288 LO SCUDO DI ERCOLE 101

Àtropo, e di statura piú bassa, ma d' anni piú grave
era di tutte l’altre, ché prima venuta era al giorno.
Tutte pugnavano a un uomo d’intorno una zuffa crudele,
e l’una contro l’altra volgevano gli occhi furenti,
260l’unghie provavano l’una su l’altra, e le mani rapaci.
E presso a loro stava la querula Ambascia odïosa,
pallida, magra, cascante di fame, e gambe stecchite,
e l’unghie lunghe lunghe sporgean dalle dita: colava
dalle narici moccio, cadevano giú dalle guance
265stille di sangue; ed essa, con grande stridore di denti,
stava, e sugli òmeri suoi si addensava la polvere fitta,
molle di pianto. — E presso, sorgeva una rocca turrita,
da sette porte d’oro difesa, connesse ben salde
dagli architravi. E dentro, le genti, in carole e in festini,
270si sollazzavano. Alcuni, in un carro di rapide ruote,
guidavano allo sposo la sposa. Il sonoro imeneo
volava: in man le ancelle reggevan le fiaccole accese,
ed il fulgore lontano volava. Movevano innanzi
esse, di gioventú fiorenti: seguivano a schiere
275i danzatori. Quelle, dai teneri labbri, al concento
delle sampogne acute levavano il canto, ed intorno
si rifrangeva l’eco. Guidavano al suon delle cetre
quelli l’amabile danza. — Poi giovani, altrove, in tripudio
al suon del flauto, questi godevan di balli e di canti,
280quelli ridevano; e avanti movevano, ognuno seguendo
un suonator di flauto; e danze, piaceri, festini
empievan la città tutta quanta. — Dinanzi alla rocca,
genti ai cavalli in groppa correvano. — Intenti all’aratro
scalzavano i bifolchi, succinte le vesti, la terra
285divina. E c’era un campo di biade, profondo; ed alcuni
con gli affilati falcetti mietevano i calami lunghi
gravi di spighe, onde poi si frange di Dèmetra il dono;
altri in covoni poi le stringevan, battevano l’aia.