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xxvi ESIODO

immagini già certo abbozzate dalla immaginazione del popolo, dei poeti minori, degli antichi artisti del disegno, lineò le prodigiose figure, che rimasero poi modelli eterni all’ammirazione delle genti, alla ispirazione degli artisti. Sicché, quando Fidia volle creare all’adorazione di tutti i Greci la sublime figura di Giove, chiese ancora i colori all’antichissimo Omero.

E tutta la caterva dei minori rimane in ombra nei due poemi omerici. Non però sino al punto che, aguzzando le pupille, non si distinguano le loro sagome. Ecco, vicino all’Olimpio Ares (Marte), la dimonia Eris, la Rissa, in una grandiosa e paurosa figurazione (IV, 440):

la Rissa, ch’è compagna di Marte omicida e sorella,
che piccola da prima si vede levarsi, ed al cielo
poi con la testa poggia, premendo coi piedi la terra.

Ed ecco, suoi fratelli, Spavento, e Terrore, ed Enjò (V, 592). Ecco Sonno: ecco le innumerevoli Moire (XII, 326): ecco Ate, la potentissima (XIX, 91):

Ate, la figlia maggiore di Giove, che tutti fa ciechi,
la maledetta! I suoi piedi son morbidi; e non su la terra
essa cammina, bensí per le menti degli uomini avanza;
essa danneggia le genti: ché uno su due, l’irretisce:
essa, persino il figlio di Crono accecò, che il piú saggio
è fra i Celesti, si dice, fra gli uomini tutti.

Per quanto dichiarata figlia di Giove, è chiaro che si tratta di una divinità avversa, e, secondo ogni probabilità, straniera. E se ne ha una riprova quasi tangibile nel particolare simbolico che, in seguito a una sua frode, Giove la scaraventa giú dall’Olimpo.