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154 ESIODO

sterminatrice appariva tutta irta; e abbagliava gli sguardi
lo scintillare del bronzo dagli alti cimieri fulgenti,
dalle corazze di fresco brunite, dai lucidi scudi
che s’avanzavano a masse: chi avesse gioito a tal vista,
chi non si fosse turbato, intrepido stato sarebbe.

E gli Elleni, colpiti anche qui di meraviglia, applaudirono Omero, perché quei versi erano ben degni di lui, e a lui decretarono la corona. Ma il re, invece, incoronò Esiodo, dicendo che la vittoria spettava a chi esortava all’agricoltura, e non già a chi cantava guerre e stragi. Cosí, dunque, raccontano, Esiodo avrebbe conseguita la vittoria. E preso il tripode di bronzo, lo avrebbe offerto alle Muse, dopo avervi fatta incidere la seguente epigrafe:

Consacra questo tripode Esiodo alle Muse Eliconie,
poi che con l’inno vinse in Calcide Omero divino.

E cosí, finita la gara, Esiodo s’imbarcò per andare a Delfo, a consultar l’oracolo, e ad offrire al Nume le primizie della vittoria. E mentre egli entrava nel tempio, la profetessa, a quanto raccontano, ispirata dal Nume, disse:

O fortunato quest’uomo che il piede rivolge al mio tempio,
Esiodo: onor gli fanno le Muse che vivono eterne.
Si spanderà la sua fama dovunque rifulga l’aurora.
Guàrdati bene, però, dal bosco di Giove Nemèo
bellissimo: che lí t’attende il destino di morte.

Ed Esiodo, udito l’oracolo, credendo che il Nume parlasse della Nemea del Peloponneso, si allontanò da quella, e venuto ad Enòe nella Lòcride, si fermò presso Anfífane e Ganíttore, figli di Fegèo. E non aveva inteso il vero senso del-