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xxxvi ESIODO

evidente era anche la parentela del sonno con la morte; l’uno e l’altra sono, palesemente, due salti nel buio, l’uno temporaneo, l’altro sempiterno. E credo che presso tutti i popoli del mondo si potrà trovare il binomio Sonno-Morte, che nelle arti del disegno in Grecia si trovano quasi sempre congiunti.

E con Morte vanno congiunte alcune creature che della morte sono una preparazione piú o meno remota.

Le Moire, in primo luogo. Moira è la parte destinata a ciascun uomo (méiromai = dividere), la necessità ineluttabile che spinge al termine la sua esistenza (Moros non è che un doppione di Moira).

Affini alle Moire, sono le Kères, che corrono sui campi di battaglia, piombano sui cadaveri, ne succhiano il sangue, e, appena dissanguato uno, piombano sull’altro. E oltre a quelle dei campi di battaglia, altre ve ne sono, che sotto forme diverse tendono insidie continue alla vita dell’uomo.

Chiarissima è anche la concezione delle Esperidi. Il loro nome è assai trasparente. Sono le nuvole rosse che al tramonto si addensano a Vespero, per dileguare subito in grembo alla Notte, che facilmente viene dunque concepita come loro madre, alla quale, come nel divino frammento di Saffo, i figli tornano quando la stella d’Esperο brilla nel cielo.

Ed ecco un’altra schiera di figli della Notte, che appartengono alla categoria, che abbiamo già illustrata, delle personificazioni di concetti astratti. Ecco Sciagura (Οἰζύς), Nèmesi (Pena per un delitto), Apàte (Frode), Filòtes (Foia), Gèras (Vecchiaia), Eris (Contesa).

Per alcune di esse l’addentellato è facile: cosí per Vecchiaia, che è vicina alla morte, e, dunque, a Notte, e per Foia1 a cui piú facilmente si tribuisce carattere notturno. E

  1. Cosí conviene intendere il φιλότης o ricorrere alla espunzione del verso. Io accoglierei l’osservazione dello Schoemann (Theog.,