Pagina:Poesie di Giovanni Berchet.djvu/9

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danza di tempo e trascendenza d’ingegno: due cose queste delle quali io patisco un pochetto di penuria. Non dirò delle due quale più manchi; nè cerco pure di avverarmene io stesso: giacchè nè voglio dar sospetto ch’io parli con quella modestia che puzza d’ipocrisia, che sa di convento; nè tampoco rovistarmi troppo addentro i segreti della coscienza. A questo mondo, per viverci un poco meno malcontenti, non bisogna poi volere appurar tutto a un puntino.

Lasciati andare senza corteggio di note i fatti storici eminentemente tali, conviene ch’io non usi maggiori cerimonie verso i minuti accidenti di essi. Neppur di lontano, vorrei parere d’imitare quel fanatico, che, a far vedere quant’egli abborrisse ogni odore d’aristocrazia, negava con brutto sgarbo il saluto a qualsiasi buono o tristo de’ nobili, e profondeva carezze a qualsiasi buono o tristo de’ plebei; nè mai aveva posto mente che s’egli, alla larga d’ogni sorta di canagliume, da quello de’ trivi fino a quello de’ palazzi, si fosse tenuto urbano e rispettoso con ogni sorta di rispettabili, non solamente sarebbe paruto più democratico, ma anche più galantuomo.

I minuti particolari di cui parlo, il lettore anche colto può manco male, ignorarli senza il menomo rimorso. E infatti o non usava egli di cercarli, o non li rinveniva spesso ne’ libri che i savi scrivevano per pascolo della intelligenza comune. Da qualche tempo in qua i savi hanno cambiato di parere, e si sono accorti che il farsi voler bene dalla intelligenza comune è un tantino più lusinghiero che non il rendersi accetto ai tarli delle biblioteche. E però divenuti vaghi di popolarità, secondano questa crescente smania che la moltitudine ha ora di sapere, più che si possa, il vero delle cose; e di questi minuti particolari fanno tesoro come d’indicazioni tutte a meglio raffigurare ciaschedun periodo