Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/54

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ria, e, raccostandosi troppo al sole, aver fatto sì, che la cera, ond’erano congegnate le penne, rimanesse squagliata. Ed io invece soggiungo, la colpa del padre è riposta nell’aver presunto che il ragazzo, a cui erano state innestate l’ali alle spalle, sapesse e volesse tenersi a mezz’aria; e vedendosi il sole più vicino che non sono soliti di vederlo d’ordinario gli altri uomini, non gli nascesse la brama di più sempre levarsi a contemplare dappresso il bello e rilucente pianeta. Ad ultimo, la pazza arroganza di Fetonte mi cagiona nausea e disprezzo, e tutta serbo la mia compassione alle infelici sorelle che fannosi pioppe in riva all’Eridano, versando stille d’elettro sulla sepoltura del giovane precipitato; quando la inobbedienza d’Icaro non mi toglie di concedere al funesto suo caso la mia pietà, e per poco non dico la mia ammirazione.

Di qui vorrei trarre al solito una qualche significazione, riferibile all’ordinario costume degli uomini tanto nell’operare che nel giudicare. Basta in primo luogo ad essi il vedere che un tale sia caduto; poco si curano se per propria colpa o per altrui. Questi giudicatori meschini, non avvezzi mai a levare l’occhio da terra, ch’è quanto dire dal fango in cui vivono e di cui sono imbrattati, non altro veggono fuorchè la caduta; ma donde partisse quel misero, a qual meta agognasse, quali intenzioni, qual necessità vel traessero, questo poco importa che sia indagato. Oh! levate la fronte a quel sole a cui pur tendeva