Pagina:Rime (Cavalcanti).djvu/42

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e l’altro continuerebbe il consiglio:

Noi semo in un cammino e doven gire
in uno loco, amico, di ragione etc.

ed il primo riprendendo:

Grazie ti rendo, amico, a mio podere
della tua saggia e dritta canoscenza etc.

chiude il suo dire con un’allusione a l’amore. Ma il poeta (son. XXXII) vorrebbe staccarsi da quest’amore che addolora e vi rimane soltanto

sì come folle che vi sono usato.

Il drama intimo s’accentua: il poeta chiama amore quasi il tormento interno che esce da la contraddizione perenne, ch’egli non sa vedere in sè stesso e di cui pure rappresenta con tanta forza i fenomeni. Ma la gente, che non sa, guarda a lui meditante e doloroso e sospetta (son. XXXIII):

Alcuna giente, part’io mi dimoro
fra me medesmo lo giorno pensoso,
si traggie in ver lo loco ov’i’ mi poso,
dicendo che mal fo che mi divoro.

— De, be’ signori - dich’io allor con loro —
credete voi che lo star doloroso
mi piaccia? Non; ma ne lo core inchioso
mi sento il male, ond’ie languendo moro.

E ciò mi face amor sol perch’ie l’amo
e stato sempre son su’ servidore;
e voi vedete il merito ch’i’ n’aggio. —

Così diciendo fo mutar coraggio
a ciaschedun ched è riprenditore
de lo penser ch’i’ fo co’ stato gramo.

Qui a mio vedere la figura di Guido risalta tutta mirabilmente nella sua vera luce: è la rievocazione, fatta dal giovane sincero e forte, della sua giovinezza pensierosa; il poeta fissa, con le sue parole, il sentimento che di lui avranno tutti i biografi che fecero parte anche di quella gente che lo guardava sospettosa, da Dino