Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/112

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56 capitolo tredicesimo

gladiatori pezzenti, decrepiti, che cadeano ad un soffio: io ne vidi de’ meno vili tra gli esposti alle fiere. E’ vi aggiunse un combattimento a piedi a lume di fanali; ma gli avresti creduti pollastrelli: l’uno snello come un gatto di marmo, l’altro co’ piedi torti, il terzo mezzo morto per aver visto co’ nervi recisi e basito il suo antecessore. Uno però di Tracia ve n’era di certa statura il quale pugnò secondo gli veniva indicato: tutti infine apparvero feriti,51 perchè sortivan pure dalla folla del grosso volgo, atti soltanto a fuggire. Io ti ho dato un divertimento, ei mi disse; ed io risposi, bravo! ma facciamo i conti, ed io ti do più di quel che ricevo. Una man lava l’altra.

Tu mi sembri Agamennone, il qual mi dica: che va fantasticando questo importuno? Perchè tu, che puoi parlare, te ne stai muto; e non essendo della nostra comitiva, perciò deridi i discorsi degli ignoranti. Ben sappiamo che tu sei pazzo per lo studio: ma che perciò? un qualche giorno io ti persuaderò a venire in campagna, e vedere le mie casupole. Vi troveremo a mangiare, polli, ova: staremo allegri; e benchè la stagione abbia in quest’anno disposto tutto a guastarsi, troverem tuttavia di che satollarci. Oltre a ciò il mio Cicarone si prepara per esserti scolaro, e già recita le quattro parti dell’orazione: s’ei vive, avrai al fianco un servitoretto, perchè, ogni momento ch’egli ha, non alza il capo dai libri: egli è ingegnoso e di bella figura; sebbene così bravo è però di poca salute: io un dì gli ammazzai tre cardellini, e gli dissi che li avea mangiati una donnola: onde ad altre occupazioni si attenne; ei dipinge di bonissima voglia. Del resto egli ha già studiato il greco, ed ha cominciato a gustar felicemente il latino, benchè il suo maestro sia troppo compiacente. Non istà mai fermo in un luogo, dimanda che gli dia da scrivere, e poi non vuol lavorare.

Ho un altro figlio, non molto dotto, ma curioso, e