Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/114

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CAPITOLO QUATTORDICESIMO

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sapienza di trimalcione.



Andavasi così chiaccherando, allorchè Trimalcione rientrò, e strofinatasi con unguento la fronte, lavossi le mani, e dopo brevissimo intervallo, perdonatemi, disse, o amici: già son più giorni, che il ventre non mi opera a dovere, e i Medici non sanno che dirmene. Tuttavia la scorza di pomo granato cotta nell’aceto mi ha fatto bene.52 Ora spero che debba essere più ritenuto, s’egli non si sovraccarica, altrimenti stammi un romor nello stomaco, come il muggir di un toro. Per la qual cosa se alcun di voi volesse a sua posta ruttare, non ha di che vergognarsene. Nessun di noi è nato d’acciaio, ed io penso non darsi maggior tormento di quello del contenersi. Giove stesso non può impedirci un flato.53 Tu ridi, eh Fortunata, che sai esser tuo costume lo svegliarmi la notte con quel romore. Perciò io non ho proibito a nessuno di fare a tavola tutto ciò