Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/138

Da Wikisource.
82 capitolo decimosesto

Tu ben la conosci, rispose Trimalcione; ella non si metterebbe un sorso d’acqua in bocca, se prima non ha ordinata l’argenteria, e divisi gli avanzi ai servidori.

Ma io, soggiunse Abinna, s’ella non viene, me ne vo; e facea per alzarsi, se, dato il segnale, quattro e più volte non chiamavasi Fortunata da tutta la famiglia. Infin ella venne, succinta con un casacchin verde, sotto al quale apparia la gonna color di ciliegia, e i calzari attraversati intorno alle gambe, e le scarpettine alla greca indorate. Allora asciugandosi le mani in un fazzoletto, ch’ell’aveva al collo, si assise sul guancial medesimo, ove giacea Scintilla moglie di Abinna, cui fe’ un bacio, mentr’ella rallegrandosi le dicea: È permesso di salutarti? I discorsi arrivarono poi a tale, che Fortunata levandosi dalle braccia le sue grosse smaniglie le andava mostrando a Scintilla, che ne stava maravigliata. Finalmente ella sciolse anche i calzari, e l’aurea sua reticella, dicendo ch’ella era d’oro finissimo.

Trimalcione che vi avea badato, fece portare il restante degli ornamenti, e disse: osservate quanti inceppamenti che han le donne: così noi goffi ci spogliamo per esse. Queste smaniglie denno pesare sei libbre e mezza; ed io ne ho pure di dieci libbre, fatte coi frutti di alcuni miei capitali. In ultimo, perchè non paresse di avere esagerato, fe’ portare una bilancia, su cui si pesaron tutte una dopo l’altra. Scintilla non volle esser da meno: e levossi di testa una scatoletta d’oro, ch’ella chiamava la sua gioia, e due gemme in forma di crotali, e dielle a sua posta a vedere a Fortunata, e disse: niuno al certo ha più bei gioielli di questi datimi dal mio signore.

Caspita! riprese Abinna, tu mi hai spolmonato, perch’io ti comperassi queste fave di vetro. Oh davvero, che s’io avessi una figlia, le mozzerei le orecchie. Se non ci fossero donne, tutto ciò parrebbeci fango; ma ora ci bisogna mangiar caldo e bever freddo.