Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/166

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110 capitolo ventesimo

    E Troia è già ne’ ceppi, or che la guerra
    Consiste tutta in quel sì novo inganno.
45Altri prodigj appaion poi: dal lato
    Donde Tenedo eccelsa il mare incalza
    Coll’immobile dorso, oltre il costume
    Gonfiansi i flutti, e sino all’ultim’onda
    In spruzzi minutissimi ricade.
    50Fragor si udia quale in tranquilla notte
    Spandesi lunge il suon de’ remi, quando
    Armate navi al mar premano il tergo,
    E al sovrappor dell’albero pesante
    Cigoli e gema l’incavato marmo.
    55Noi là volgemmo gli occhi: ed ecco due
    Spinti dal flutto in sul terren serpenti
    Attortigliati, co’i superbi petti
    Alti, a guisa di nave, e traggon dietro
    Spuma sui fianchi lor: suonan le code:
    60Fiammeggian gli occhi, le volgenti scaglie
    Risplendon lunge sopra il mare, e quasi
    Destanvi incendio co’ fulminei sguardi:
    E al loro sibilar tremano l’onde,
    Stupìa ciascun: ivi di stole adorni
    65E de’ Troiani vestimenti i due
    Diletti figli di Laocoonte
    Stavano: ed ecco d’improvviso a tergo
    Gli avviticchiaro i lucidi serpenti.
    Le pargolette mani alzanti ai volti,
    70Essi, e l’un l’altro liberar vorria,
    E la pietosa cura ognun rivolge
    Verso il fratel, sì che il morir dell’uno
    Per l’alterno timor fu all’altro morte.
    Miseri! Il genitor le fredde membra
    75Raccoglie de’ bambini. Ahi fiacca aita:
    Sovr’esso pur gli angui pasciuti vanno,
    E il traggon morto in sul terren. Tra l’are
    Vittima giace il Sacerdote, a cui