Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/170

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114 capitolo ventunesimo

fesso, che quand’io vi vidi entrambi armati, m’appigliai al più forte.

Allora io gli baciai quel petto sì pien d’accortezza, e gli tenni tra le mani la testa; e perchè non dubitasse d’essermi tornato in grazia, e che sincerissima rinasceva la mia amicizia di tutto cuor lo abbracciai.

Già era interamente notte, e l’ostessa avea disposto la cena, allorchè Eumolpione picchiò alla porta. Quanti siete? io domandai, e diligentissimamente guardai per una fenditura, se Ascilto forse con lui non venisse. Infine quand’io vidi ch’egli era solo prontamente l’accolsi. Com’egli si fu assiso sul letticciuolo, e che vide in faccia Gitone il qual mi servia, chinò la testa dicendo: approvo questo bel Ganimede: bisogna oggi starcene allegri.

Poco mi piacque sì bizzarro principio, e sospettai di non aver messomi in casa un altro Ascilto. Eumolpione continuò sullo stesso stile e avendogli il ragazzo versato da bere, gli disse: io ti voglio più bene che a tutto il bagno insieme, e avidamente votato il bicchiere disse ch’ei non ebbe giammai la bocca più asciutta: perchè (soggiunse) intanto ch’io era ai bagni corsi rischio di venir bastonato per aver voluto recitar poesie a coloro, che sedeano intorno al bacino. Dopo che mi scacciaron dal bagno, come già fecero dal teatro, presi a rivolgermi per tutti i canti, ed a chiamare Encolpo con tutta la mia voce. Dall’altra parte un giovine ignudo, che avea perduto i suoi abiti, con fracasso non minore misto di rabbia chiamava Gitone. Me intanto que’ garzoni deridevano come un pazzo, contraffacendomi con impertinenza, ed a lui molta gente andò intorno facendo plausi e maraviglie non senza molta cautela; imperocchè egli aveva un cotale sì prodigioso, che avresti detto che il resto del corpo ne fosse l’orlo. Oh che giovine affaccendato! io credo che s’ei si mette in opera oggi, appena dimani la termina. Laonde ei