Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/171

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due ghiotti a un desco 115

trovò pronto soccorso, perocchè non so qual cavaliere romano,98 a cui davano dello infame, coprì della sua veste lui che andava girando, e menosselo a casa per fruir solo, per quanto io penso, di tanta fortuna. Io però non avrei riavuti ì miei abiti, se non ne avessi prodotto un testimonio; tant’è vero ch’egli è meglio avere un buon cotale che un buono ingegno.

Mentre Eumolpione dicea queste cose, io ad ogni tratto arricciava la fronte, ora lieto delle ingiurie fatte al mio nimico, ora afflitto della sua fortuna. Tuttavia presi il partito di tacermi come nulla sapessi del fatto, e gli dichiarai l’ordine della cena.


Appena io finia, che la cenetta comparve, la qual’era di piatti comuni, ma sugosi e nutritivi, che Eumolpione, dottor famelico, si divorò. Quando fu ben pasciuto ei si diede a cavar fuora i filosofi, e ad inveir grandemente contro di loro come disprezzatori delle usanze volgari, e solo delle cose rare estimatori. Egli è effetto di spirito guasto, diss’egli, non avere in pregio ciò che è facile, e l’animo, irremovibile nel suo errore, ama la difficoltà.


Quel ch’io desidero non io pretendo
D’ottener subito, nè preparata
Vittoria piacemi. Cari al palato
Son gli uccei d’Africa, ed i fagiani
5Comprati in Colchide: perciò di plebe
Puzza la candida oca e la fresca
Colorit’anitra. Cercasi, e s’ama
Tratto dall’ultime sponde lo Scaro,
E il nobil Arata, per cui s’avvolse
10Ne’ scogli naufrago il mercadante.
La triglia or nausea: or sulla moglie
La druda supera: ora la rosa
Teme del cinnamo: insomma quello
Or dicesi ottimo; ch’è fra noi raro.