Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/177

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alterchi ed avventure d’osteria 121

tica amicizia, e delle comuni disgrazie, il pregai che mi lasciasse almeno veder Gitone, anzi per meglio colorire la mia finzione gli dissi: io so Ascilto, che tu sei venuto per ammazzarmi; altrimenti a qual fine portavi la scure? Appaga adunque il tuo sdegno, eccoti il collo, spargi quel sangue, di cui col pretesto di una perquisizione andavi in traccia.

Negò Ascilto questa imputazione, dicendo di niente altro cercare che il suo fuggiasco, nè bramar la morte di alcuno, nè di me supplichevole, cui anzi dopo quel litigio fatale teneva carissimo.

Il sergente non istassi però melenso, ma spigne sotto il letto la canna presa all’oste e visita tutti i buchi delle pareti. Gitone evitò i colpi tenendosi bene in sù, e non fiatando di paura, quand’anche i cimici gli mordesser la faccia.

Appena furon costoro partiti, Eumolpione, accortosi che nessuno avrebbe potuto più chiuder l’uscio della camera, che era sgangherato, saltovvi entro bruscamente, e disse: io ho guadagnato i mille nummi, perchè io vado a raggiugnere il banditore, e trattandovi qual meritate, fargli sapere che Gitone è in sua mano.

Io abbracciai le costui ginocchia, vedendol fisso in tale proponimento, e gli dissi: tu avresti ragione di riscaldarti, se potessi provare di essere stato deluso. Ora il ragazzo si è dileguato tra la folla, nè io posso pur sospettare dove sia ito. Io ti supplico, Eumolpione, riconducimelo, o almeno rendilo ad Ascilto.

In quella che io stava persuadendolo, e ch’ei sel credeva, Gitone gonfio pel fiato trattenuto, sternutò tre volte di seguito in guisa che il letto ne tremò. Eumolpione voltosi a quel rumore, augurò salute a Gitone.104 Poi rimosso lo stramazzo vide questo Ulissetto, cui il più affamato Ciclope avrebbe perdonato. Indi a me rivolgendosi, disse: come, o ladrone? Sin colto sul fatto osi tacermi la verità? di maniera che se alcun