Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/190

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134 capitolo ventesimoquarto


A questo superstizioso discorso Trifena cambiando favella negò di aver voluto risparmiare il castigo, anzi concorrere ella pure ad una ben dovuta vendetta, ed essa non trovarsi men di Lica adirata, per essere stato in pubblico vilipeso l’onore della sua verecondia.

Quando Lica vide Trifena uniforme, ed inclinata a vendicarsi volle che ulterior pena ci fosse ingiunta, il che sentendo Eumolpione tentò con queste parole di mitigarlo.

Questi sciagurati, diss’egli, la cui morte dipende dalla tua vendetta, implorano, o Lica, la tua misericordia e me a quest’ufficio hanno scelto, come persona qui nota; pregandomi di conciliarli coi loro antichi amici. Voi tenete per certo che questi ragazzi sieno caduti a caso ne’ presenti lacci: laddove ogni navigatore di nulla primamente s’informa che di colui, alla cui diligenza si affida. Raddolcite adunque gli animi già da tal penitenza soddisfatti, e permettete ad uomini liberi di andarsene senza oltraggio ove si vogliono. Anche i più crudeli ed implacabili padroni frenano la lor sevizie, quando il pentimento riconduce i disertati; e noi perdoniam pure ai nimici, che spontaneamente si danno.110 Che pretendete di più? che più bramate? supplichevoli al nostro cospetto si giacciono, giovani, nobili, galantuomini, e quel che è più a voi per familiar nodo in altro tempo congiunti. Se essi vi avesser per dio carpito il danaro, se tradita la fede, di questa pena che pur avete sott’occhi dovreste esser paghi. Osservate sulla lor fronte le marche della schiavitù, osservate quei liberi volti per la volontaria applicazione delle leggi penali infamati e proscritti.

Interruppe Lica la difesa dell’avvocato, dicendogli: non imbrogliar la causa, ma tutto esponi con ordine.

E prima di tutto, se costoro son venuti di lor volontà, a che tagliarsi i capegli? E chi si trasforma la faccia è più disposto ad ingannar che a dar soddisfazione.