Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/194

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138 capitolo ventesimoquarto

indi dateci pacificamente le mani, tutta la guerra ebbe fine. Di questo istante di pentimento valendosi Eumolpione nostro capitano, diè prima di tutto una solenne lavata di testa a Lica, poi firmò il trattato di pace, di cui questo era il tenore.

Che tu, o Trifena, per tua propria risoluzione non ti debba lagnare dell’insulto avuto da Gitone, nè che tu abbi a rimproverarlo o a vendicarti, o in qual siasi altro modo a perseguitarlo, per quanto può essere sin qui avvenuto: e che nulla tu debba comandargli contro sua voglia, nè abbracciamenti, nè baci, nè copula venerea, fuorchè pagando per ciascuna di queste cose cento denari moneta corrente.

Così pure che tu, Lica, di tua propria risoluzione, non abbi ad ingiuriare Encolpo con parole minacciose, o con bruscheria, nè a cercarlo dove dorma la notte: e in caso che lo cerchi, pagherai per ciascuna ingiuria dugento danari moneta corrente.

Stabiliti i patti in questi termini, deponemmo le armi, e perchè anche dopo il giuramento non rimanesse nell’animo alcun resto di collera, ci baciammo, per distruggere la memoria del passato.

Sparvero gli odj per comune disposizione, e vivande recate nel luogo della zuffa ci unirono in allegro convito. Tutta quindi risuona la nave di canti, e siccome una calma improvvisa ritardava il cammino, chi i pesci guizzanti cacciava col forchetto, chi cogli ami lusinghieri seduceva la preda mal volenterosa. Venivan pure a posar su per gli alberi degli augelli marini, che l’accostumato nocchiero sapea ingannare con sue cannimede coperte, sicchè allacciandosi sopra il vischio, prendeansi con le mani; l’aria portavasi a volo le piume, e la leggiera schiuma ne attortigliava pei flutti le penne.