Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/212

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156 capitolo ventesimottavo

veste. Ne sia modello Omero, e i lirici, e il romano Virgilio, e la graziosa felicità di Orazio; che gli altri, o non conobber la via per cui si giunse al Poema, o conosciutala spaventaronsi di tentarla. Chiunque per esempio aspirasse alla grand’opera della guerra civile se di molte cognizioni non è provvisto, soccomberà sotto il peso.121 Imperocchè non trattasi di descrivere ne’ versi le azioni seguite, locchè assai meglio si fà dagli istruiti, ma deve liberamente lanciarsi l’ingegno in mezzo alle passioni, alla influenza degli Iddii, ed all’invenzione meccanica delle sentenze, sicchè paia piuttosto estasi di animo riscaldato, che esattezza di un racconto fedele, testificato da’ documenti. E se voi siffatto impeto conoscete, uditene un tratto, benchè ancora non abbia avuto l’ultima mano.


    Già il Roman vincitor l’intero mondo,122
Ov’è mare, ov’è terra, ove s’aggira
L’un astro e l’altro possedea, nè pago
Era però. Già su le carche navi
5Scorreansi i domi flutti, e se apparia
Qualche mal nota piaggia, o terra alcuna
Del biondo oro feconda, era nemica,
E a cruda guerra la dannava il fato.

    Sol di ricchezze eravi sete, e il volgo
10Più non amava i passatempi usati,
Nè i piacer dal comune uso avviliti.
Ed il guerrier, cui la conchiglia, tratta
Fuor dell’acque di Assiria, era sì grata,
Or pel cinabro dalla terra svelto,
15Rifiutando la porpora, pugnava.
Quà il Numida123 togliea dai monti il marmo,
Là spogliava il suo suol l’araba gente,
Ed il Serio filava il bozzol novo.