Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/224

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168 capitolo ventesimottavo

    Suonarono le trombe, e il crin strappando
L’infernal capo alzò Discordia al cielo.
Sangue coagulato avea su i labbri,
395Piagnean gli occhi contusi, erano i denti
Macchiati d’aspra ruggine, marciume
Per la lingua colava, assediata
Avea la fronte dai serpenti, rotta
La veste innanzi al petto, e colla destra
400Tremebonda scotea face sanguigna.
Quando l’averno e di cocito l’ombre
Lasciò costei, del nobil Appennino
Gli alti gioghi salì, donde potea
Veder tutte le terre e tutti i lidi,
405E le innondanti in tutto il mondo torme;
Indi queste eruttò voci furenti:
Or l'armi, o genti, intrepide stringete,
Stringete, i ferri, e alle cittadi in mezzo
Fuoco e fiamma vibrate. A chi si cela
410Morte sovrasti: non fanciul, non donna,
E non vecchiezza già degli anni guasta
Scamperà quel furor. Tremi la terra,
Sconvolgansi, sobissino le case.
Marcello, tu salva le leggi: il volgo
415Tu, Curion, sommovi: e tu la forza
Tu, Lentulo,136 il terror sveglia di Marte.
A che dormi tu ancor sopra il tuo scudo,
O divo Giulio, e al liminar ti arresti?
Perchè non struggi le acquistate mura?
420Perchè i tesori non rapisci ai vinti?
E tu, Magno Pompeo, non sai tu dunque
Delle romane rocche esser difesa?
Corri alle mura di Epidammo,137 e spargi
Nei Tessalici flutti umano sangne.
425Disse la furia, e ciò che volle avvenne.