Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/228

Da Wikisource.
172 capitolo ventesimonono

splendono: le narici erano alquanto rivolte, e tal boccuccia, quale immaginossi Prassitele, che l’avesse Ciprigna. E il mento, e il collo, e le mani, e la bianchezza de’ piedi, che tralucea tra il leggiero coturnetto d’oro, avrebber fatto vergogna al marmo di Paro. Allora insomma per la prima volta io antico amante di Doride, ne sentii disprezzo.


Come, o Giove, de’ fulmini,
    Più non curando, puoi
    Muta indolente favola
    4Starti fra’ i numi tuoi?

Qui della fronte ruvida
    Devi abbassar le corna,
    Qui la tua pelle candida
    8Finger di piume adorna.140

Questa, ben questa è Danae:
    Abbracciala se sai,
    E per le membra scorrere
    12Il foco sentirai.


Costei compiacendosi mi sorrise con tanta avvenenza, che avrei creduto veder la luna sporgere fuor delle nubi la bella sua faccia. Dipoi accompagnando la voce co’ gesti ella disse: Se non ti annoia una donna galante, e che soltanto in quest’anno sa cosa sia maschio, io ti offro o giovine, una sorellina. Tu hai pure un fratello, poichè io non ho lasciato di informarmene, ma cosa impedisce che tu pur non addotti una sorella? Io mi ti presento in tal qualità; piacciati di degnartene e di gustare quando tu vuoi i miei abbracciamenti.

Son io, risposi, che prego te per la tua bellezza di non isdegnarti di ammettere tra i tuoi spasimanti uno straniero: mi avrai divotissimo, se tu mi permetti di