Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/230

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174 capitolo ventesimonono

Circe rimase delusa per una mia inaspettata fiacchezza di nervi; di che offesa e sdegnata mi disse: che vuol dir questo? forse ti fanno nausea i baci miei? o il mio fiato acido pel digiuno? o il sudor delle ascelle negligentato? O, se ciò non è, temi tu di Gitone?

Io mi fei tutto rosso, e se qualche vigor mi avanzava quello pure perdetti, sicchè sentendomi quasi sfinito risposi: O mio regina, non far di grazia più grandi le mie miserie. Io sono ammaliato.

Questa scusa sì sciocca non acquietò altrimenti lo sdegno di Circe, la qual volti altrove gli occhi sprezzatamente, e alla damigella guardando: dimmi Criside, ma dì vero, son io spettinata? oppure ho io qualche natural difetto che guasti la mia bellezza? Non ingannare la tua padrona: certamente dev’esservi qualche cosa a rimproverarmi.

Strappò dipoi dalle mani di lei che tacea uno specchio, e dopo esservi guardata in tutti quegli aspetti, che sogliono destar piacere agli amanti, scossasi la veste che si era scompigliata contro il terreno, entrò rapidamente in un vicino tempietto di Venere. 142

Io dall’altra parte confuso, e quasi da non so quale spettro inorridito, presi ad interrogare me stesso, com’io sfuggir mi lasciassi un tanto piacere.


    Come tra l’ombre della notte, quando
Giocano i sogni con l’error degli occhi,
S’apre la terra, e chiuso oro dimostra
E per ghermirlo avara mano in quello
5Tortuosa si aggira: intanto gronda
Sudor dal volto, e gran timor stà in mente
Che a tartassare la pesante bolgia
Non arrivi colui per avventura,
Che già il tesoro ivi giacer sapea.
10Ma poi, tornate le primiere forme,
E fuggito il piacer dal cor deluso,