Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/241

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suffumigi ed incantagioni 185

tra parte del letto, e cominciò a lagnarsi con voce tremante della lunghezza della sua vecchiaia. In quella entrò la Sacerdotessa, e disse: Perchè siete voi venuti nella mia camera, come se foste iti ad un funerale? e ciò pure in un giorno festivo, in cui anche gli afflitti si confortano.

O Enotea, rispose la vecchia, il giovinetto che tu qui vedi nacque sotto un astro maligno giacchè ei non può dispensare le cose sue nè al ragazzo nè alla druda. Tu non vedesti mai più gramo uomo. Uno straccio bagnato ha egli e non un pivolo. Egli è insomma qual vedi che esser deve un che sorte dal letto di Circe senza averne preso piacere.

Ciò udito, Enotea149 venne a sedersi tra noi due, e tentennata per qualche tempo la testa disse: Io son la sola, che possa guarir questo male: e perchè non crediate che io ci metta alcun dubbio tra mezzo, domando che se io prima non glielo rimetto sodo al par di un corno, abbia il giovinetto a dormir meco una notte.


    Quaggiù tutto a me serve. Allor ch’io voglio
La fruttifera terra i sughi addensa,
Inaridisce e langue; e allor ch’io voglio
Frutti produce. Orride balze e scogli
5Mi spillano acqua a paragon del Nilo.
A me sommette il mar l’onde tranquille;
Taciti a’ piedi miei depongon l’ale
I Zefiretti: mi ubbidiscon fiumi,
E draghi e ircane tigri alla mia voce
10Fermano il piè: ma tutto questo è nulla.
In terra scende da miei carmi spinta
L’immagin della Luna, e il Sol per tema,
Poi che trascorso ha della terra il cerchio,
Rivolge addietro i destrieri ardenti:
15Tanto ha forza il mio dir! Dei tori il fuoco
Al parlar d’una vergine si estinse;