Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/77

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nuovi furti e baratterie 21

vidi essermi il prezioso abito dalle spalle caduto; sino a che stanco e incapace a ir più oltre, mi adagiai all’ombra di un albero, e qui della smarrita veste mi accorsi. Allora il dolore mi rese le forze, e rialzatomi mi posi in traccia di quel tesoro: ma lungamente e in vano mi aggirai, tanto che di fatica e di pena abbattuto, nel più folto del bosco mi ascosi, ove dimoratomi quattr’ore, infastidito di quell’orror solitario, cercai la via di sortirne. Feci pochi passi, e vidi non so qual villano. Allora sì che mi fu d’uopo di tutta la mia franchezza, la qual non mancommi; perchè arditamente ver lui avanzatomi, il richiesi per qual sentiero si andasse in città, lagnandomi del lungo tempo, che io stava gironzando pel bosco. Egli impietosito dello stato mio, dappoichè io era più pallido di morte, e tutto coperto di fango, m’interrogò se nessuno avessi visto nel bosco. Nessuno, io risposi; ed egli gentilmente allor mi condusse sulla strada maestra, dove incontrossi in due suoi compagni, che gli riferirono di avere scorsi tutti i viottoli del bosco, e nulla avervi trovato, fuorchè una veste, la qual mostrarono.

Non mi diè il coraggio, come ognun può credere, di reclamarla, benchè io sapessi di quanto valore ella fosse. Allora il dolor mio si fe’ più grave, e gemendo sul rapitomi tesoro, e la mia fiacchezza crescendo, lentissimamente senza che quei mi abbadassero, lor tenni dietro.

Assai tardi giunsi in città, ed entrato in locanda vi trovai Ascilto mezzo morto sul letto, ed io mi gittai sopra un altro, senza potere profferir motto. Turbatosi egli a non vedermi la veste, me ne dimandò incontanente, ed io quasi svenuto, ciò che non potei colla voce, gli manifestai colla languidezza degli occhi: ma a poco a poco tornato in forze, Ascilto della disgrazia informai. Egli pensò ch’io scherzassi, e quantunque con un profluvio di lagrime io giustificassi la cosa, pur