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96 sotto il velame

qui il racconto comincia con “l’aer bruno„, come quello di Dante. Forse dunque Dante volle che si pensasse a un suo camminare sulle acque. Altra volta egli passa1 “un bel fiumicello... come terra dura„. Ma qui è caduto, ma qui è come morto, qui, anzi, muore.

Oh! se fosse lecito penetrare nella mente del poeta, in quella mente, e cercarvi le parole che non disse e le imagini che non espresse, e che egli portò con sè nell’eterno silenzio, come Michelangelo le statue che vide nelle rupi e non vi scoperse! Se fosse lecito! Una nuova schiera s’aduna già nella ripa, venendo dalla prima morte, per passare alla seconda. Il ramo mette a ogni battito di polso, nuove foglie. Le foglie secche, rifiuto della vita e della morte, mulinano nel vestibolo che ha aperta la porta, donde viene un fioco lume. La barca di Caron vanisce via per l’onda bruna. Ed ecco colui, che, al soffio del vento e al lampo vermiglio, è caduto, si rialza con gli occhi chiusi e, insieme all’ombra del poeta morto, scivola sull’ombra e passa. I dannati che aspettano la barca e gli altri che desiderano invano di passare, si volgono, battendo i denti e anelando tra la corsa, a lui, e dicono certo quello che i discepoli di Gesù: È un fantasma! E il fantasma si trova di là. È dritto levato. Riapre gli occhi, che trova riposati dal breve sonno che fu una morte; guarda. Nulla. Non discerne nulla. È sulla proda della valle d’abisso, donde sale un tuono infinito.

Ma forse noi dobbiamo ricorrere all’altra sacra narrazione; quella del Phase. Faraone,2 che in-

  1. Inf. IV 108 seg.
  2. Exod. XIV.