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102 sotto il velame

volta, di quando morì la morte che è morte al veleno o alla malizia, e dice che quella non era morte e non era vita; cioè che era morte e vita nel tempo stesso: morte al peccato e vita a Dio. Ma, per essere più precisi, forse sola quella dell’alto passo, fu morte; morte generica al peccato generico. Le altre sono “sepultura„. Invero, dopo quella morte, come Gesù morì e discese agl’inferi, così Dante agl’inferi discende. E gl’inferi sono, come egli dice, la tomba; e v’è in essa un vermo reo, più vermi, e aura morta e sucidume e notte.1 Ora dice S. Ambrogio, riportato da quello che egli convertì:2 “Noi vediamo come è la morte mistica: ora consideriamo come ha da essere la sepultura. Chè non basta che muoiano i vizi, se non marcisce la lussuria del corpo e non si dissolve la compagine di tutti i vincoli carnali. C’è, dopo la morte al peccato e la natività a Dio, ancor da fare: dobbiamo prima di tutto dissolvere, distruggere la concupiscenza.3 E invero vediamo che Dante cade come corpo morto nel cerchio della lussuria, a breve distanza della prima morte mistica.

E quel cadere simboleggia ciò che S. Ambrogio dice, seppellire il peccato, dopo averlo mortificato.

Ma questo mortificare è un vivificare. Bene S. Agostino comenta4 le parole di Anna profetessa. “Il Signore mortifica e vivifica, conduce giù agl’inferi e riconduce su„; le comenta coi profondi concetti di S. Paolo. Mortifica, come mortificò il figlio; vivifica, come vivificò il figlio. Perciò lo scendere agl’inferi Dante narra, come un tornare alla vita per

  1. Inf. XXXIV 108, VI 22.
  2. Aug. contra Iul. Pel. II 14.
  3. Aug. ib. VI 42.
  4. Aug. de civ. Dei XVII 5, 5.