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108 sotto il velame

                                passavam la selva tuttavia,
                         la selva, dico, di spiriti spessi.

Oh! per quelli spiriti era selva, per lui non più. Ed era sonno. Nel sonno non è libero arbitrio.1 Ma il volere egli lo aveva riavuto libero da quell’iniziale e totale impedimento, da cui era rimasto inceppato nei non battezzati. La tenebra egli l’aveva scossa. Per il che misteriosamente vedrà anche dove è buio di inferno.

Egli è uscito dalla selva. E che vi ha scorto? Dice:2

               per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
               dirò dell’altre cose, ch’io v’ho scorte.

Dove parla di queste altre cose? Quali sono queste altre cose? Osservo che nella ripetizione, per così dire, della selva e della viltà e del passo e della tenebra e del lume, quale è poi nell’inferno, dove il passo dell’Acheronte è il passo della selva, assomigliata a un pelago e a una fiumana; in tale ripetizione, Dante continua a passar la selva anche dopo aver passato l’Acheronte. Dunque ciò che racconterà dopo il passo, è ancora di quelle “altre cose„ che ha scorte nella selva. Invero, per un esempio, dopo il passo della selva, egli posa un poco il corpo lasso. Dopo il passo dell’Acheronte egli muove intorno “l’occhio riposato„. O sia l’occhio o sia il corpo riposato, questo riposo, dell’occhio o del corpo, risponde a quello del corpo lasso. Risponde perfetta-

  1. Summa 1a 94, 4: id quod accidit in somno, non imputatur homini: quia non habet usum rationis; qui est proprius hominis actus.
  2. Inf. I 8 seg.