Pagina:Sotto il velame.djvu/191

Da Wikisource.

il corto andare 169

ingiusti. No. Dante esprime in un modo, come l’ingiustizia faccia proseliti, in un altro, come faccia vittime. Fa proseliti ammogliandosi:1

               Molti son gli animali, a cui s’ammoglia,
               e più saranno ancora.

La lupa è altra volta una fuia,2 e il veltro, per cui la lupa deve discedere ed essere morta ed essere rimessa nell’inferno, è “un cinquecento dieci e cinque„. Anche questa fuia è la frode, o più in genere, la malizia o l’ingiustizia. Ebbene il gigante “che con lei delinque„ non è uno a cui ella, lupa e fuia, s’ammoglia? Esso è ingiusto o malizioso o frodolento; non quelli che la meretrice, con sue arti, diserti e derubi.3 E poi, ammogliarsi significa diventar donna ossia domina: dominare, quindi. Ed è questa la parola che Dante accoppia a “cupidità„ altrove, per significare appunto la lupa dell’inferno e del purgatorio, e la fuia che bacia il gigante.4 E qua e là della cupidigia egli fa una sirena o una meretrice che ammalia.5 Cupido dunque e perciò ingiusto sarà chi resta ammaliato da lei. Quelli ch’essa impedisce e uccide sono le sue vittime. E Dante dunque è o sarebbe sua vittima, non suo seguace.

  1. Inf. I 100.
  2. Purg. XXXII 151 segg. XXXIII 43 segg.
  3. Vedi più sopra «Le tre fiere», III p.122.
  4. Ep. VI 5 nec advertitis dominantem cupidinem, quia caeci estis, venenoso susurro blandientem.
  5. Par. XXX 13: La cieca cupidigia che v’ammalia. Ep. V 4: Nec seducat illudens cupiditas, more Sirenum, nescio qua dulcedine vigiliam rationis mortificans. De Mon. I 13: hoc metu cupiditatis fieri oportet, de facili mentes hominum detorquentis.