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le rovine e il gran veglio 193

Dante è aiutato da Virgilio, qui è a dirittura in collo al maestro. E se il salire qui è preceduto da uno scendere:1

               Come a lui piacque, il collo gli avvinghiai;
               ed ei prese di tempo e loco poste,
               e quando l’ale furo aperte assai,
               
               appigliò sè alle vellute coste:
               di vello in vello giù discese poscia
               tra il folto pelo e le gelate croste:

così, in Malebolge, discendono i due (nè già in tutte le bolgie discendono), e sdrucciolano giù, Dante sopra il petto di Virgilio, fuggendo la caccia dei diavoli:2

               Lo duca mio di subito mi prese,
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               
               e giù dal collo della ripa dura
               supin si diede alla pendente roccia,
               che l’un dei lati all’altra bolgia tura.

Ora è evidente perchè Dante, per certi peccati, la facilità di salvarsi esprima con lo scendere, e per certi altri, esprima la difficoltà, col salire o col risalire. Ci sono peccati che hanno in sè precipua la conversione al bene commutevole, e altri che hanno precipua l’aversione da Dio, bene immutabile. Ora il peccatore che va morto all’inferno entra e scende per una porta e per rovine, per le quali, entrando e scendendo, il peccatore vivo si salva, come l’altro si perde. Invero il cammino dell’uno e dell’altro, perdendosi e salvandosi, fu ed è converso, ugualmente, al bene; ma dell’uno al bene commutevole,

  1. Inf. XXXIV 70 segg.
  2. Inf. XXIII 37 segg.
Sotto il velame 13