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le rovine e il gran veglio 209


               Qui si convien lasciare ogni sospetto:
               ogni viltà convien che qui sia morta.

La “viltà„ che rivolve co’ sospetti che desta, da imprese orrevoli, come falso vedere bestia ombrosa, e la traduzione della difficultas di S. Agostino. Guardando e passando, Dante continua in quest’opera di mortificazione. Nel limbo continuerà a mortificare ciò a cui è morto nel passo, o forse a seppellire ciò che nel passo ha mortificato. E questo è l’ignoranza: quella che nasconde la via della fede, secondo il detto su riportato. E sì. Egli si rivolge al maestro:1

               Dimmi, maestro mio, dimmi, signore,
               comincia’io, per voler esser certo
               di quella fede che vince ogni errore,
               
               uscicci mai alcuno...?

Il perchè dell’inchiesta, d’un cristiano a un pagano, il perchè, dico, assegnato da Dante stesso, sarebbe pure un gramo perchè! Ma Dante vuol solo far comprendere ai suoi lettori ch’egli mortifica o seppellisce l’ignoranza di cui è figlio l’errore: l’ignoranza “originale„, come io la chiamo più su.

La viltà dunque o difficoltà, e l’ignoranza originali. Ma queste chiudono in sè, virtualmente, tutti i peccati, poichè da esse gli uomini a tutti i peccati sono disposti e condotti. Onde, come Acheronte, spicciato dalla fessura, cioè dalla “colpa umana„, continuando il suo corso, diventa Stige e Flegetonte e Cocito; così tutto l’inferno è, in potenza, nel vestibolo e nel limbo, e tutto il cammino, di Dante fuor

  1. Inf. IV 46 segg.
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