Pagina:Sotto il velame.djvu/237

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le rovine e il gran veglio 215

e a tanto minor pietà. Chè al peccatore che si fa dinanzi alla barca e dice:

               Vedi che son un che piango;

Dante risponde:

                       Con piangere e con lutto,
               spirito maledetto, ti rimani;
               ch’io ti conosco ancor sia lordo tutto.

E il maestro gli grida:

               Via costà con gli altri cani!

E Virgilio abbraccia e bacia il discepolo, e ne benedice la madre, lodando il suo sdegno. E trova giusto e conveniente il disìo di Dante, di vedere attuffar nel brago il misero. E si lascia quell’infelice “che in sè medesimo si volgea coi denti„ con quelle parole di spregio che assomigliano al “dicerolti molto breve„ e al “guarda e passa„ del vestibolo:1

       Quivi il lasciammo, che più non ne narro.

La pietà è diminuita a mano a mano da Francesca a Ciacco e agli avari, finchè avanti a Filippo Argenti è nulla: invece di pietà, sdegno; invece di pietà, gioia; invece di pietà, disprezzo. E tutto questo, sdegno e disprezzo se non gioia, si trova nel vestibolo, mentre nel limbo si prova gran duolo. C’è dunque quasi una posposizione: nell’inferno del peccato originale, prima è lo sdegno e poi la pietà; nella prima parte dell’inferno del peccato attuale,

  1. Inf. VIII 31 segg.