Pagina:Sotto il velame.djvu/269

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le rovine e il gran veglio 247

a Virgilio che a Sordello si rivela con la prima parola del suo epitafio: Mantova (meglio, forse, Mantua), che doveva, mi pare, seguire con me genuit.1

La prima volta: ho detto; ho detto: risente. Invero si meditino queste poche parole2 pronunziate dalla Sibilla, parole alle quali perciò Dante poteva attribuire un senso misterioso: “Se hai tanto affetto e desìo

             bis Stygios innare lacus, bis nigra videre
             Tartara:»

parole di quel discorso dove sono la porta sempre aperta e la facile discesa all’Averno, e le selve e il ramo d’oro, e la verga che rinasce dove fu svelta, e altro ancora, che Dante tenne a mente. Dunque bis passare lo Stige, bis vedere il Tartaro (che in Dante è la città di Dite, sia perchè fuse o sia perchè confuse): bis, due volte. Non egli mise d’accordo qui il suo vangelo profano coi suoi libri sacri? non la Comedia qui dichiara e corregge la Tragedia? Enea, per Dante, è nel limbo. Ma Virgilio, per bocca della Sibilla, dice che due volte egli è per vedere lo Stige e il Tartaro. Una volta li vide in quella andata. La seconda, quando? Chè morendo, nel limbo andò; non passò lo Stige nè vide (si noti la precisione!) il Tartaro più. Dunque? Questa volta, dunque. Oh! potessi evocare Dante! Chè questo ci vorrebbe, solo questo basterebbe, per certi increduli o pervicaci o ciechi! Dante padre, non è vero che tu al maestro, quando ti volgesti, volevi dire: “Ora vedo come tu hai detto che due volte costui, il tuo eroe, avrebbe

  1. Purg. VI 72.
  2. Aen VI 146 sq.