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252 sotto il velame

gli ricorda i suoi studi, la sua Etica, la sua Fisica, e lo rimprovera dolcemente delle sue dimenticanze. C’è per i dannati, in questo cerchio, l’ignoranza, e per Dante la prudenza.

E si scende nel cerchietto dai tre gironi, dove è punita la malizia con forza o violenza. Nel primo girone, contro gli uomini; nel secondo, contro sè e contro le cose sue; nel terzo, contro Dio, la natura e l’arte. Per scendere c’è una rovina guardata da un’“ira bestiale„. Virgilio dice di averla spenta.1 Come la spense? Il savio grida ver lui, lo chiama bestia, gli ricorda la sua morte sotto la mazza di Teseo, gli ricorda lo scorno della sua sorella, gli ricorda le sue e altrui pene. Egli come toro ferito e non finito, non sa più gire; saltella qua e là, sì che mentre è in furia, Dante può scendere. L’ira quando è portata al sommo grado, rende impotente l’uomo.

Si direbbe che il Minotauro potrebbe rappresentare il vizio di Filippo Argenti, che volge i denti contro sè medesimo. Potrebbe; se Dante non avesse saputo di che cibo si pasceva quella bestia uccisa dal duca di Atene. Il Minotauro sta a rappresentare un altro effetto della passione ira: una cieca cupidigia e ira folle; diciamo, una “violenza„ per la quale alcuno “noccia„.2 Diciamo in fine, la passione dell’ira che genera la “matta bestialità„. Chè questo è altro nome di quella che si chiama malizia con forza e violenza. Così omettendo il cerchio sesto degli eresiarche, il quale per tante ragioni dette e da dirsi, sta a parte, Enea, il nobilissimo ha, per la sua temperanza disceso i cerchi della concupiscenza,

  1. Inf. XII 46 seg.
  2. ib. 48.